A
Padova, città d’acqua
Vederla la città
rasoterra –acqua.
E lì discesa,
risalita. Cifre
d’epoche
passo-passaggio d’albero,
pietra legno
ritrovato. L’implume
brillio di memoria
radiazione.
Fiorisce il grido
e articola parole
e nome tradito.
Mura, bastione.
Respiro, asfissia,
un tortuoso giro
-vagare
d’anime fluorescenti.
Nel mezzo di nuove
cattedrali e ali
d’uccello, corsa e
ferita di questa
suicida trasvolata.
Zampe argilla,
esangue colosso,
preme frantuma
l’arteria che
s’ingemma d’aria e ramo
e scroscio buono di
navigazione.
Lo senti, il
battito, questa città
chiama. Felice
esumazione, suono
danza d’oriente di
passante. E acciaio
d’armi a difesa.
Leviga ogni salto,
dissotterra canali.
Rosa il ventre
che ha petali e
ampolle di ragione.
Di sogno e
rivoluzione, meandri,
circonvoluzioni di
azzurre barche
- cometa.
Galleggiano notte e giorno.
Marina Agostinacchio
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