Troppa pioggia
Occhi
minuti, gocce stella scintille
sulla
pozza di fango che non devo attraversare,
ma
ormai, su tutte le reti scorrono in contemporanea
rigagnoli
ridenti. Non pendono fermi
gli
orecchini cristallo come masse rigide schiave,
si
stiracchiano piuttosto e scappano lunghi in basso.
Ogni,
ogni cosa è decoro, barocca di gioielli
che
guizzano, si accorpano e si sprizzano in frammenti, via.
Se
tutte le sete scintillanti dei prìncipi
fossero
spiegate come tovaglie di luce
su
questa strada di bigia mestizia di metropoli,
se
fossero vive e vigili e muovessero il tuo cuore
con
un massaggio delicato elettromagnetico a distanza,
ristabilissero
i fili di ragno, i legami di fili ceramici
e
intera la danza di molecole si propagasse in onde,
non
tutto sarebbe coperto.
Invece,
voltandoci
ogni
singola automobile splende
in
righe parcheggiate,
come
una schiena di puledro, lo schizzo a matita
di
un ingegnere, un giorno,
in
un ufficio asciutto.
Solo
un raggio di sole e più non riesco
a
fissare l'asfalto oleoso
illuminato
da sotto come passerella.
Giubila
in oro il metallo,
le
plastiche sciupate e rigate, d'un tratto
ringiovanite
in colori primari.
La
terra s'incupisce, e i tuoi occhi
più
grandi ormai, guardano,
tra
i capelli arricciati d'acqua
che
il mio ombrello chiuso in tasca, non ti copre.
Verrà
il tramonto a bruciare in fasci
fulmicotone
i bordi delle case cadenti, delle parabole,
distribuirà
magliette marcate di riflessi
alle
gocce sulle ringhiere arrugginite,
smalterà
a nuovo le foglioline
impolverate
di piombo delle erbe selvatiche
ai
piedi di questo platano di cui sento l'odore.
E
quando è più spessa la tenda d'acqua,
per
il peso il tergicristalli rallenta, l'ombrello inutile,
perché
l'aria intera è zuppa in cui galleggiamo,
allora
se sei sveglio puoi sentire
la
sfogo totale della pioggia, la risata
il
passaggio di energia, l'orgasmo, finalmente.
Verrà
domani un sole timido sul mondo impregnato,
stropicciato
ma rigenerato, pronto a un nuovo balzo,
eccoci.
(Tiziana Pagan, Roma 2014)
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