giovedì 16 ottobre 2014

Marisa Papa Ruggiero

Marisa Papa Ruggiero
Le acque di Paxos
Il grido secco di un corvo su rupi calve di fronde
zittisce gli uccelli, rompe la simmetria del cancello appena schiuso.
Paxos riflesso nell’occhio del corvo strapiomba nel mio occhio
e la foresta di querce esce dal quadro: laggiù tra i sassi
la nudità di un’orma dice la calibratura esatta del mio corpo
attraverso lo spazio vuoto che la cinge…
io non giungo né mi allontano
acque vanno nella direzione opposta
più al largo di noi dove mai torneremo.
A Paxos il mio idillio in punta di piedi con la morte.
Del nuovo regno riconosco le scoscese piste
negli antri della carne, segnali invio da questa pagina strappata
scavo dentro le ossa la mia fatica di minatore per ogni
segnalibro di germi vivi tacendo tutto gridando!
Ha strida gelate il corvo, vola in cerchio, il concentrico
volo dentro il nulla: nell’occhio il soffio ribollente
e il sangue di tenebra che lampeggia a distanza tra i tronchi.
L’altra faccia che mai si mostra dorme di fianco
dice l’ombra che non ha suono nella lingua dei vivi
in questa piega cieca della galassia che adesso è fumo.
La mia zattera sempre più al largo, il sasso in ogni tasca,
l’approdo mai stato. Paxos sogna se stesso nel quadro
il gabbiano è ora quietamente sazio:
nessun albero da nessun suicidio è scosso.
Il guardiano dello scoglio

reclina il capo sull’ala.

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