Marisa
Papa Ruggiero
Le
acque di Paxos
Il
grido secco di un corvo su rupi calve di fronde
zittisce
gli uccelli, rompe la simmetria del cancello appena schiuso.
Paxos
riflesso nell’occhio del corvo strapiomba nel mio occhio
e la
foresta di querce esce dal quadro: laggiù tra i sassi
la
nudità di un’orma dice la calibratura esatta del mio corpo
attraverso
lo spazio vuoto che la cinge…
io
non giungo né mi allontano
acque
vanno nella direzione opposta
più
al largo di noi dove mai torneremo.
A
Paxos il mio idillio in punta di piedi con la morte.
Del
nuovo regno riconosco le scoscese piste
negli
antri della carne, segnali invio da questa pagina strappata
scavo
dentro le ossa la mia fatica di minatore per ogni
segnalibro
di germi vivi tacendo tutto gridando!
Ha
strida gelate il corvo, vola in cerchio, il concentrico
volo
dentro il nulla: nell’occhio il soffio ribollente
e il
sangue di tenebra che lampeggia a distanza tra i tronchi.
L’altra
faccia che mai si mostra dorme di fianco
dice
l’ombra che non ha suono nella lingua dei vivi
in
questa piega cieca della galassia che adesso è fumo.
La
mia zattera sempre più al largo, il sasso in ogni tasca,
l’approdo
mai stato. Paxos sogna se stesso nel quadro
il
gabbiano è ora quietamente sazio:
nessun
albero da nessun suicidio è scosso.
Il
guardiano dello scoglio
reclina
il capo sull’ala.
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